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Il volto della transizione

News nazionali
24 luglio 2021

"L'Europa fa investimenti ingenti per decarbonizzare – diceva  a Napoli Cingolani – ma produce solo il 9% della CO2. Ha un'ottima leadership nello sforzo, ma non basta. Se altri paesi non aderiscono, le loro emissioni compensano i nostri tagli, il sistema salta, e noi intanto ci siamo svenati". Nel contempo, ha aggiunto, “dire che tutto va giocato in questa decade, e che dobbiamo restare tutti uniti è un bel problema da negoziare al G20", in particolare viste le posizioni di Cina, Russia e paesi emergenti. Questa capacità di Cingolani di sintesi della complessità, senza ignorare contraddizioni e questioni aperte, rappresenta da sempre il punto distintivo dell'azione del ministro e, si potrebbe dire, è forse la vera sostanza del suo ruolo. Portavoce e “frontman” del Governo nel permanente (e infuocato) dibattito sulla transizione: questo, a riguardare i primi cinque mesi di Cingolani ministro, sembra il suo profilo nell'esecutivo. Non tanto quindi di proposta e gestione attiva della transizione, le cui leve decisive sembrano essere altrove - a Palazzo Chigi, al ministero dell'Economia, tutt'uno con quelle del Pnrr (e questo per molti aspetti è un problema, come si dirà tra poco). Quanto di rappresentanza all'esterno, verso le forze politiche e la società civile, della linea dell'esecutivo sulla transizione, motivandola, catalizzando se necessario le critiche e di queste tenendo conto ogni volta che è possibile, ma anche respingendole ogni volta che è necessario. Sintesi, si diceva, che non ignora la complessità e la necessità di contemperare più obiettivi - sostenibilità ambientale, ma anche economica e sociale. Un concetto che rinvia alla visione “olistica” invocata in alcuni suoi interventi già prima di diventare ministro. “Io cerco semplicemente di fare del mio meglio per raccogliere le istanze che arrivano e trovare una sintesi: una volta si scontenta uno, una volta l'altro”. E ancora in un'altra occasione: "Io, finché servo, lavoro. A un certo punto nessuno è indispensabile e io sono meno indispensabile degli altri. Non mi sento particolarmente a mio agio in questo ruolo, sono responsabilità che mi prendo". Un ruolo dunque per lo più di “relazioni istituzionali”, cui si aggiunge l'azione di impulso a una maggiore efficienza e reattività della burocrazia, su cui il giudizio è in chiaroscuro, tra lo smaltimento del pregresso che sembra andare avanti speditamente per quanto riguarda le valutazioni ambientali dei progetti (energetici e non) e la posizione di fanalino di coda nella relazione della Presidenza del Consiglio sul mese di giugno quanto all'emanazione di decreti attuativi (zero provvedimenti su un target di 10). Tutto questo lascia un fianco scoperto, il ruolo cioè che per mandato spetta al ministero, quello di punto di riferimento quotidiano e operativo per gli operatori del settore. Tra questi ultimi si registra un certo disorientamento, per il fatto di non capire più se e in che misura il Mite rappresenti ancora un interlocutore per le loro istanze e per i loro problemi di tutti i giorni. La sensazione generale è che i giochi si facciano altrove. Sensazione rafforzata, si potrebbe notare, anche dall'assenza dalla scena del Cite, quel comitato interministeriale per la Transizione ecologica che pareva dovesse essere un fulcro dell'azione governativa su questi temi e che invece finora si è riunito una volta sola. Anche perché fatica oggettivamente a trovare uno spazio, tra il sistema di governance del Pnrr, il Cipess e ora i gruppi di lavoro che il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola ha annunciato per lavorare sulle proposte europee del pacchetto Fit for 55. Insomma, tra i tempi contingentati di attuazione del Pnrr, le scadenze europee, le necessità della ripresa e l'assenza di una forza politica alle spalle, il ministro sembra a volte in balia di polemiche e pressioni.

Fonte: Staffetta Quotidiana