Midland, Texas, 500 chilometri a ovest di Dallas. Il giornale locale, il Midland Reporter Telegram, tutti i giorni ha in prima pagina notizie sulla riunione Opec, quella del 26 settembre di Algeri. È in questa contea del profondo sud degli Stati Uniti che si può capire il futuro del prezzo del petrolio e se è vero che, come qualcuno qua dice, il Texas si sta riprendendo quella leadership del mercato mondiale che l’Opec gli ha strappato negli anni ’70. In un’area grande come la provincia di Milano, ci sono pozzi di petrolio, quelli a cavalletto, dappertutto, a perdita d’occhio. In tutto sono 1300, ma l’attenzione è tutta sulle 31 trivelle che ne fanno di nuovi con la tecnica della fratturazione orizzontale. Tre anni fa, con prezzi sopra i 100 dollari, le trivelle erano un centinaio e c’è chi scommette che nei prossimi mesi si tornerà a quei livelli. Due settimane fa, una delle aziende leader nel settore, Apache, ha annunciato una nuova gigantesca scoperta da 3 miliardi di barili ( la Val d’Agri, in Italia, il più grande giacimento a terra in Europa, ha riserve per 0,4 miliardi di barili). In realtà, come tutti sanno, di scoperte nuove non ce ne sono; si tratta di una formazione geologica ben conosciuta, dove, però, la complessità delle rocce e delle stratificazioni finora ha impedito di produrre. La società è convinta che con nuove tecniche di indagine fisica e con più efficienti perforazioni è in grado di sfruttarle e nei prossimi due anni farà 2mila pozzi, ma ciò richiede prezzi sopra i 50 dollari.
Fonte: Il Sole 24 Ore – Davide Tabarelli (pag. 3)
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