Nonostante il crollo dei prezzi, da oltre 115 dollari alla fine di novembre 2015, la maggior parte dei modelli macroeconomici suggerisce che l’impatto sulla crescita globale è stato inferiore rispetto a quanto previsto – forse lo 0,5% del Pil mondiale. La buona notizia è che questo effetto positivo ma modesto sulla crescita probabilmente non cesserà nel 2016. La cattiva notizia è che i prezzi bassi creeranno ancora maggiori tensioni sui principali paesi esportatori di petrolio. La recente diminuzione dei prezzi del petrolio è pari al calo trainato dall’offerta nel 1985-1986, quando i membri dell’Opec hanno deciso di invertire i tagli alle forniture per riconquistare quote di mercato. Tra le ragioni il rallentamento della Cina che sta spostando gli equilibri verso il consumo interno e le nuovi fonti di approvvigionamento di petrolio. La rivoluzione dello shale ha fatto salire la produzione di petrolio americano da cinque milioni di barili al giorno nel 2008 a 9,3 milioni di barili nel 2015. Anche l’anticipazione della produzione petrolifera iraniana post-sanzioni ha colpito i mercati.
Fonte: Il Sole 24 Ore, Commenti e Inchieste
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